Con ‘sto titolo citiamo Mao Tse-tung (scriviamolo alla vecchia maniera) per parlare della leva del cambio. Di quel che ne resta e del suo futuro.
Si parla del cambio manuale che se ne va e dell’automatico che resterà.
Con una riflessione sul come sta avvenendo.
Alla fine ne rimarrà uno solo?
So che ce ne sono tanti tipi ma per semplicità di cronaca non distinguerò le varie versioni di cambio automatico, definizione sotto la quale piazzo qui tutti i tipi di trasmissione che possono funzionare in maniera autonoma.
Facciamola breve la storia del cambio, per quel che riguarda il suo mercato. Una volta, da queste parti, cioè in Europa e in Italia in particolare, c’era quasi solo il manuale. Per motivi tecnici, economici e culturali.
I motivi tecnici s’individuavano nel fatto che i cambi automatici erano poco efficienti: mortificavano le prestazioni e aumentavano i consumi; e non di poco. Avendolo, l’automatico diminuiva sì la fatica ma peggiorava, sotto tutti gli altri aspetti, la guida dell’auto.
I motivi economici risiedevano nell’alto costo d’acquisto, nella manutenzione in più e nel maggior consumo di carburante che gli automatici imponevano.
Quelli culturali erano legati al modo d’intendere l’automobile nella concezione italica della stessa: agilità ed abilità al volante non si accompagnano a una guida priva di azione sulla leva e del pedale della frizione.
Saggia economia e orgoglio da pilota tennero a bada gli automatici. Questo fino a ieri.
Cosa è quindi cambiato negli ultimi anni?
E’ cambiato di molto l’aspetto tecnico dei cambi automatici. Cosa che ne ha, a ruota, mutato gli aspetti economici e culturali.
Mentre il cambio manuale è rimasto quel che era, cioè una leva azionata dalla mano umana, giusto con uno o due rapporti in più rispetto ai decenni passati, l’automatico si è molto evoluto:
sempre più rapporti (8 o 9) per migliorarne l’efficacia e i consumi,
gestione intelligente che ne adatta l’azione allo stile di guida,
nuovi comandi elettroattuati che rendono protagonista il pilota, volendo.
Costa sempre più del manuale ma l’automatico della nostra epoca va alla grande e, spesso, fa consumare meno ed è pure divertente.
Facciamo il punto del mercato al momento: il cambio manuale è di fatto scomparso dall’intero panorama mondiale delle auto di alto profilo non espressamente sportive. Le più grandi berline, Suv e granturismo non lo hanno più in gamma. Anche i modelli di segmento intermedio si stanno orientando sempre più verso l’automatico. Le city-car spesso non lo adottano per motivi di costo. Ma le sportive, auto votate principalmente al tempo libero e al divertimento di guida, dovrebbero essere le uniche a continuare a montare il cambio manuale. Teoricamente per sempre. Oppure no.
E qui si torna al titolo. Sulle sportive.
Cosa intendo parlando del colpire per educare?
Parlo dei test che le case automobilistiche stanno effettuando, su un certo modello di auto o un certo mercato, per capire come orientare le future scelte che riguarderanno tutti gli altri modelli o mercati. Io ti colpisco, così magari ti passa la voglia, direbbe il vecchio Mao…
Lui sapeva come convincere
Con modelli incoerenti su mercati contrastanti. Proviamo a fare qualche esempio.
La nuova Alfa Romeo Giulia. Se ne parla spesso attualmente e io ci trovo uno spunto interessante, fra le pieghe del tanto che si dice. La Quadrifoglio, cioè la versione più potente e sportiva, è offerta con il cambio manuale e con l’automatico. Ma non ovunque. La notizia inaspettata sta nel fatto che gli esemplari con guida a destra saranno prodotti solo in versione con trasmissione automatica. E dove si viaggia con il volante a destra? Il primo paese che viene in mente è la Gran Bretagna ed è l’unico che ne sentirà la mancanza perché negli altri due automobilisticamente più rilevanti, cioè Giappone e Australia, scelgono quasi tutti l’automatico, anche sulle sportive. Perché questa decisione? Sotto il profilo tecnico è difficile individuare un motivo davvero valido se non riconducibile anche a questo discorso più generale: Come si decide la gamma di un modello d’auto Ma la cosa più anomala è che gli appassionati britannici, in particolare, sono i maggiori sostenitori della guida sportiva “analogica”, cioè meno filtrata possibile dagli automatismi.
Quindi perché? E’ probabile che tale scelta sia un esperimento. Uno dei tanti in corso in questi ultimi anni da parte dei costruttori d’auto per capire se e quando mandare in pensione definitivamente il cambio manuale.
Un po’ come ha fatto recentemente la Porsche
Più veloce che mai, senza leva e frizione.
con il suo modello più osannato dai cultori della guida sportiva, la 911 Gt3, offerta anch’essa solo in versione automatica; salvo proporne poi una versione speciale (la “R”) con cambio manuale per saggiare la reazione del pubblico e, verificato il successo, riesumare la trasmissione manuale sulla nuova edizione della Gt3.
Altro esempio lo offre Bmw con le sue versioni di M5 e M6 offerte, curiosamente, anche con il manuale ma solo sul mercato americano, cioè quello tradizionalmente meno ricettivo in merito, almeno rispetto a quello europeo.
Perché provare a imporre o togliere il cambio manuale in maniera apparentemente illogica? Per testare cosa vuole davvero il pubblico.
Per capire se la clientela parla del bello della guida con il cambio manuale ma in realtà non lo vuole più. Anche fra gli irriducibili.
Fece scalpore, qualche tempo fa, la notizia della vendita a prezzo record all’asta di una delle pochissime Ferrari 599 Fiorano in circolazione equipaggiate di cambio manuale. L’automatico (un velocissimo automatizzato con comandi al volante) era della versione – più costosa – che quasi tutti scelsero, per quel modello. Oggi, qualcuno rimpiange la scelta.
L’ultima di una specie
Qual è il futuro? Sparirà del tutto la trasmissione manuale? Credo di no ma è possibile che diventi un optional.
Ovviamente, a pagamento.
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Rieccoci. Vi faccio uno dei miei discorsi strani. Un discorso che strano in fondo non è ma è un discorso che circola solo fra gli addetti ai lavori. Lavori che non riguardano le automobili. E nemmeno le sigarette, che in Formula 1 non ci sono più ma aiutano a capire l’argomento. Roba da marketing e dobloni, non da ruote e pistoni.
La prendo alla larga…
Chi vi piace di più dei soggetti delle due foto seguenti?
Il più leggendario della F1
La Williams su cui corse e morì Senna
Ayrton Senna o la sua Williams? Scelta ovvia: Senna è un mito e di quell’auto si ha memoria solo per il suo incidente. E di questi qui sotto?
4 mondiali questi due insieme
Vettel o la sua Red Bull? Diventa più difficile. Red Bull è solo una marca di bibite, però ci si ricorda di quanto quell’auto sia stata importante per il suo, pur bravissimo, pilota.
“Ehhh, non ci sono più i piloti di una volta!” Fra gli appassionati, chi non l’ha mai detto o pensato in merito a quelli della Formula 1? Riferendosi alle loro capacità, coraggio e personalità? E che fine hanno fatto i piloti di una volta? Non nascono più? Si sono estinti? Piloti robot senza cuore, adesso?
Non è così.
E’ solo che alcune cose sono cambiate negli ultimi anni, per i piloti.
I grandi piloti sono lì ma non li vediamo più, non come prima. Fortissimi e con personalità pronte ad esprimersi, sono chiusi nelle loro macchine. Gli eccessi di protagonismo del pilota, in pista o al di fuori, non sono più bene accetti da chi, giustamente, vuol far risaltare un marchio e non un volto.
Dove sto andando con questo discorso? Provate a pensarci.
Torniamo alle sigarette, che sono un esempio del fenomeno che sto descrivendo: lo spostamento mediatico. I giganti del tabacco, storici grandi sponsor della Formula 1, non ci sono più. Vietati. Versavano tantissimi soldi. La loro pubblicità diventava autentica livrea delle macchine sponsorizzate
Bellissimo… sponsor!
I piloti, quando fumavano
ma si abbinava alla perfezione con il pilota, vincente e ricco di carisma (anche se non fumava), per la naturale associazione mentale che il consumatore eseguiva.
Si tratta solo di un esempio, il più importante, del cambio di prospettiva mediatica. Chi sono ora i maggiori sponsor della Formula 1? Non sono esattamente degli sponsor ma sono lì per lo stesso motivo degli sponsor: farsi pubblicità e vendere. Sono le auto, i loro costruttori.
Un tempo c’erano principalmente le scuderie pure, cioè costruttori esclusivi di auto da corsa il cui nome non aveva quasi ragion d’essere in campo pubblicitario: Williams e McLaren fra i più forti, oltre ai tanti comprimari. I costruttori di auto stradali c’erano ma erano molti meno di oggi e spesso non erano generalisti da milioni di auto di serie all’anno; fra i più longevi in F1 c’erano solo Ferrari e Lotus.
Le sigarette si sono spente e la scuderia, che oggi è sempre più spesso un grosso fabbricante di vetture stradali,
I due al centro o le belve intorno?
preferisce ovviamente che lo spettatore (e quindi il potenziale acquirente) sia persuaso dall’idea che sia l’auto a vincere la gara e i titoli mondiali, non il pilota a condurla alla vittoria. E in effetti il mezzo conta tantissimo nell’automobilismo, molto di più rispetto per esempio al motociclismo. Anche al di fuori dei circuiti, l’attenzione mediatica è preferibile che sia rivolta al marchio e al fare dei costruttori, non alle scelte e al protagonismo dei piloti.
Michael Schumacher è stato l’ultimo grande nome la cui presenza in squadra era ritenuta determinante per la vittoria e in grado di concentrare l’attenzione dei media su un pilota. Prima di lui fu così per Alain Prost, Nigel Mansell e ovviamente Ayrton Senna. E, se vogliamo tornare un po’ più indietro nel tempo, gli esempi si sprecano: Lauda, Reutemann, Hunt, Peterson…
Ma anche nomi che non sono mai emersi sul serio, una volta contavano e duravano di più, mediaticamente. Anche se arrivavano in Formula 1 più anziani e si ritiravano spesso in fretta senza vincere molto. Gilles Villeneuve fu il caso più emblematico: solo 6 vittorie ma, prima che la sua carriera venisse stroncata dal fatale incidente, era già in grado di catalizzare l’attenzione su di sé, con la sua guida arrembante e caratteriale. Fateci caso: Sebastian Vettel ha vinto 4 titoli mondiali di fila, cioè più di quasi tutti, ma il suo valore come personaggio non è mai del tutto emerso…
Ayrton Senna diceva che ad appassionare il pubblico saranno sempre i piloti, non le scuderie e, almeno ai suoi tempi, aveva senz’altro ragione. Sentimentalmente sarebbe ancora così ma i tanti soldi che i marchi investono in F1 devono avere un ritorno e i grandi costruttori non possono non tenere conto del fatto che un pilota può oscurare l’automobile, pur eccellente, che guida.
E’ un discorso controverso ma il suo valore, difficile da calcolare, sposta milioni di quattrini nella ragion d’essere della Formula 1.
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Dalla celebre frase provocatoria di Al Capone rivolta a Elliot Ness, vediamo di capirci qualcosa sul futuro dell’auto a guida autonoma.
Si sa quel che dicono i costruttori d’auto, almeno la maggior parte, e quelli di tecnologie collegate alla faccenda, essenzialmente Google e Uber. Parlano di tutto e con tutti. “…Stiamo facendo… Prevediamo che… Collaboriamo con quello… I governi dicono… A partire dal…”.
Distinguiamo le chiacchiere, i distintivi e la realtà. Almeno quella molto probabile.
Le chiacchiere sono quelle dei media e delle persone; e abbondano per due motivi. Le nuove auto sono belle ma sono fin troppe, smettono quasi di far notizia mentre l’auto che guida da sola ne fa sì, di notizia. Le altre chiacchiere sono quelle dei commenti perché su quelle ci si scatena, piace tanto parlare del futuro, fare previsioni perentorie.
Il distintivo sono i marchi, impegnati a ricordare al mondo che si è del giro, anche se non si sa esattamente quanto. Quando per esempio Uber (app per il noleggio auto) parla di centomila Mercedes da ordinare e l’amministratore delegato di Apple spiega del “cambiamento epocale”, in fondo non comunicano niente di fatto; comunicano e basta. Basta che si parli di loro.
E poi c’è la realtà. Vicinissima, più vicina di quanto si creda. Io sono un appassionato d’auto e credo che molti come me non gradiscano più di tanto il concetto dell’auto che guida da sola, pur riconoscendone l’eventuale utilità. All’inizio di questa storia ci si consolava pensando che tanto ci vorrà un sacco di tempo. Poco tempo fa un importante player che aveva interesse a far decollare la cosa, doveva purtroppo ammettere che ci si arriverà nel 2035 alla macchina che guida da sola. Non è più così.
Questo è quello che succederà, nell’ipotesi più probabile. Non si parlerà di autonomia di guida ma di fatto, entro circa cinque anni, la maggior parte delle nuove auto, nemmeno troppo costose, saranno in grado di prevenire quasi tutti i tipi di incidente causato dal guidatore. In sostanza quello che avviene già con la frenata automatica, ormai presente anche su molte utilitarie, si estenderà anche agli altri controlli, cioè al volante, che si muoverà da solo per prevenire una manovra errata del conducente. Il passo conseguente all’adozione di questi sistemi di sicurezza sarà sfruttarne i sensori e gli attuatori per una guida del tutto autonoma in alcune situazioni, ovvero quelle più noiose come la marcia in colonna o quella autostradale.
Assicurazione. Uno dei temi preferiti nelle discussioni in merito è quello dell’assicurazione in caso di incidente con colpa. Come funzionerà? La risposta è semplice: le auto chiederanno all’umano di mollare il volante solo in situazioni in cui la sicurezza sarà totale. Il tutto con un protocollo certificato che esenterà il guidatore dalla responsabilità in quei frangenti. Dai test ampiamente effettuati non ci sarà più bisogno di assicurazione in caso di guida completamente autonoma; di eventuali, comunque possibili, malfunzionamenti, i costruttori che si sono pronunciati si sono detti disponibili ad assumerne la responsabilità.
Quando arriverà la guida del tutto autonoma, senza cioè la necessità che chi si trova a bordo abbia la patente? L’ipotesi più probabile è che qualcosa di simile alle Google cars, cioè vetture piccole, che si muoveranno all’inizio solo in città e a bassa velocità, nasceranno come servizio di car-sharing, forse promosso direttamente dalle amministrazioni statali. E da lì partirà un’espansione del ruolo della guida autonoma, di cui è difficile prevedere i cambiamenti, anche sociali.
Quel che è certo è che si potrà usare diversamente il tempo passato a bordo dell’auto, ci saranno sempre meno incidenti e che, un giorno… probabilmente nessuno saprà e vorrà più guidare.
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Ammettetelo: se non lo possedete già, un pensierino ce l’avete fatto.
Da qualche anno ci sono i SUV (Sport Utility Vehicle), cioè quelle auto come le altre, solo più alte e più grandi e a volte a quattro ruote motrici. Un tempo ce n’erano pochi modelli, grossi e impegnativi. Chi non l’aveva, spesso prendeva in giro i non molti che se lo compravano.
Agli esordi del genere avevano anche caratteristiche meccaniche peculiari (marce ridotte, telaio separato, ecc.), sopravvisssute solo su pochi modelli, che li rendevano specializzati per la guida fuoristrada, ma di questo ne parliamo in un altro articolo.
SUV di anni addietro, quando venivano solo chiamati “fuoristrada”.
Adesso ce ne sono in vendita svariati modelli, proposti da quasi tutti i marchi automobilistici, e acquisiscono sempre nuove quote di mercato. La maggior parte sono abbastanza piccoli, economici e molto simili ad altri modelli dei rispettivi costruttori. Quando le differenze di genere sono minime vengono chiamati “crossover”.
Esteticamente di solito piacciono e hanno quel qualcosa di indefinito che fa propendere verso di essi la scelta di chi pensa a una nuova auto. Non vale per tutti ma per molti.
Cos’hanno di meglio o di peggio rispetto a un corrispondente modello più ordinario? Si sa che sono più grandi e costosi ma per il resto?
Le attuali Renault Captur e Clio: un SUV (o crossover) small-size e un’utilitaria molto simili
Il discorso generale è abbastanza semplice.
Un certo SUV può essere migliore di tante utilitarie o berline, anche sportiveggianti o viceversa ma, a parità di altre caratteristiche, quelli che seguono sono i vantaggi e gli svantaggi della scelta di un SUV rispetto al più vicino modello di berlina o utilitaria tradizionale.
Il fattore migliorativo è solo uno:
l’altezza del posto guida. Offre un vantaggio concreto e uno psicologico. La posizione di guida solitamente più alta rispetto alla media delle varie auto genera una visibilità più ampia, rendendo la guida un po’ più sicura. E questo è un vantaggio concreto. Il vantaggio psicologico, sempre legato all’altezza da terra, è di una maggiore rilassatezza, perché ci si sente meno angustiati dal traffico; e star bene alla guida è un sicuro elemento di confort.
I fattori peggiorativi sono tre.Il peso, l’aerodinamica e il baricentro alto:
Il peso: peggiora quasi tutte le prestazioni e i consumi. Un’auto che pesa più di un’altra, a parità di altre caratteristiche, sarà meno brillante e consumerà di più.
Lo stesso vale per l’aerodinamica: aspettatevi un peggioramento medio dei consumi di oltre il 10% rispetto a un modello simile della stessa marca, con punte superiori in autostrada.
Il baricentro: di un SUV è sempre più alto di un corrispondente modello standard e questo può avere due effetti: un peggioramento della tenuta di strada o del confort. Oppure di entrambi ! Di solito, per ragioni di sicurezza si tende a privilegiare le qualità dinamiche a scapito del confort, quindi si irrigidisce l’assetto per compensare l’effetto del baricentro sfavorevole.
Comunque su molti SUV il disagio dell’assetto rigido è attenuato da pneumatici dal fianco alto, che migliorano l’assorbimento sulle asperità secche. Sui modelli più costosi inoltre sono spesso offerte le sospensioni pneumatiche, che permettono di abbinare un ottimo assorbimento ad un assetto performante. Quello che non dovete fare, se ci tenete al confort, è di farvi tentare dal fascino dei cerchi di grande diametro – da 18 pollici o più – che abbinandosi a gomme dal fianco più basso, peggiorano significativamente il confort.
Qualcuno dirà: “Non è vero, il mio SUV è comodissimo e ha un’ottima tenuta”. I puristi della guida invece affermeranno che le auto tradizionali sono sempre più sicure rispetto ai SUV. Signori, qui ho descritto quel che cambia in linea generale e a parità di altre caratteristiche; ogni automobile ha le sue specificità.
Per completezza sugli argomenti peso e altezza, leggete anche questo articolo:
Quindi cosa si fa? Vale la pena comprare un SUV oppure è meglio una vettura tradizionale?
Non pensarci troppo, va’ dove ti porta il cuore ;-)
…comprate ciò che vi piace di più, il rischio di rimanere delusi da un’automobile moderna è sempre basso. Se date grande importanza ai difetti descritti e temete un’auto con assetto scomodo o poco agile, magari cercate di provarla prima di firmare il contratto.
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Già, il buon Musk, il fondatore e capo della Tesla. Cos’è il suo metodo? Tra un po’ ci arriviamo.
Geniale e determinato…
Adesso ne parlano tutti, nel mondo automotive. Il nuovo modello Tesla ha fatto sfracelli di prenotazioni e allora si parla del fenomeno Tesla. Ma, a favore o contro, se ne parla in un modo un po’ scontato:
“…Questo è il futuro… …L’elettrico in verità inquina… …Io con quei soldi mi ci prendo una Mercedes… …E’ bellissima e la comprerei subito”.
Insomma, qui vorrei parlare non della Tesla ma dei soldi della Tesla. Riassumiamo quel che è certo e poi prendiamo il largo.
Tesla costruisce automobili elettriche, solo quelle. Costruisce elettriche che si guidano bene, vanno forte, si scaricano lentamente e si possono ricaricare in fretta. Aggiungete a queste ottime caratteristiche anche un forte richiamo mediatico sulla guida autonoma, di cui potete trovare un approfondimento qui:
Gli altri costruttori non fanno elettriche altrettanto valide. Questo è quanto.
Solo che costavano tanto e un po’ troppo le Tesla, fino a ieri.
Poi è stata lanciata la nuova Model 3, in vendita negli Stati Uniti a partire da 35000 dollari. Non pochi soldi in assoluto e poche per adesso ne hanno consegnate ma potrebbe essere la svolta, per le elettriche di un certo livello.
Di questa ne venderanno tante?
Com’è che funziona tutto così bene? Non parlo delle auto, parlo del modello di business. Dicevamo del metodo Musk. Il primo aspetto di cui tener conto è che Tesla non guadagna, nel senso che non fa utili. Va spesso così nella grande industria: si fanno grandi investimenti a lungo termine e si sa che, sul breve o in certi momenti grami, si andrà in perdita. A volte va storto anche sul lungo; infatti, anche se dichiarano il contrario, nessun costruttore generalista di auto crede nell’affermazione di mercato dell’elettrico. Sanno bene che uno sviluppo profittevole delle vendite non ci sarà se non attraverso iniziative politiche (leggasi obblighi o incentivi). Le fabbricano e le vendono le elettriche, ma poche e – per adesso – più che altro per farne parlare, perché si parli del marchio che le costruisce. I costi di sviluppo si prelevano dal budget del marketing, non dagli utili delle vendite.
Tesla invece fabbrica solo auto elettriche e quindi non può che guadagnare da quelle. In due possibili modi. Il primo è quello di essere il primo. Primo ad arrivare e unico a restare, in un certo senso. Il metodo Musk, una roba che lui conosce bene. Elon Musk ha inventato PayPal, il noto e sostanzialmente unico per diffusione metodo di pagamento online che consente di pagare un acquisto a distanza, e non solo, registrandosi una sola volta e ricevendo una valida tutela. PayPal non è un’invenzione insuperabile, nel senso che sarebbe possibile fargli concorrenza con tecnologia, prassi e costi più efficaci ma nessuno ci ha provato per anni, perché si è coscienti del fatto che spodestare una sorta di monopolista può rappresentare un suicidio economico.
Potrebbe andare così anche nel mondo dell’auto elettrica, perché Tesla potrebbe venire identificata come l’unica valida vettura elettrica da comprare. Quella che fa la differenza, quella che vale la pena comprare. E’ da qui che verranno i soldi generati dalle vendite delle auto, se verranno.
L’altro modo, del metodo Musk, potrebbe individuarsi nell’aspetto finanziario della faccenda. Il valore della azioni Tesla continua a salire.
Dove arriverà?
In questo c’è un misto di fiducia e speculazione, come sempre accade quando non si ha l’esatta percezione del valore e del destino finale di una certa azienda. Un destino fatto di prodotti ma anche di speranza nella visionarietà di chi la dirige, che potrebbe aprire a vari sviluppi.
In ogni caso, per Elon Musk, sarà un successo.
Potrà continuare ad alimentare ricerca e prodotti in seno a quest’azienda o, insieme agli altri investitori, sganciarsi dalla stessa con le tasche gonfie. E’ da qui che verranno i soldi, comunque vada.
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Avendo letto alcune approssimazioni nelle descrizioni e discussioni in merito ci scrivo un po’ su, giusto per chiarire i punti fondamentali che possono riguardare tutti, cittadini o conducenti di mezzi.
Questa legge è stata a lungo invocata. Le morti, le stragi e i numerosissimi ferimenti da incidenti stradali, pur diminuiti rispetto a molti anni fa, continuano ad essere una costante delle cronache e, statisticamente, uno dei modi in cui quasi chiunque frequenti le strade può vedersi cambiata la vita. Può morire o può rimanere invalido.
Troppo spesso si leggeva di persone che tornavano facilmente alla guida dopo aver causato anche un omicidio colposo alla guida di un mezzo. Qualcosa, sotto quest’aspetto, cambia.
Guardiamola dal punto di vista di chi subisce le conseguenze di un incidente: Avrà giustizia? La risposta varia a seconda della prospettiva. Oggi in Italia la condanna fino a 4 anni non viene quasi mai scontata perché interviene la condizionale se il condannato non ha precedenti in merito. Sotto quest’aspetto la nuova legge non cambia quasi nulla perché le pene previste, anche con le aggravanti, molto difficilmente supereranno questa soglia. Quindi il condannato non recidivo, con ogni probabilità, non andrà in galera.
Se vogliamo invece considerare la possibilità che il condannato si ripeta danneggiando o uccidendo altre persone, la nuova legge soddisfa senz’altro le istanze di chi, giustamente, invocava un cambiamento sostanziale. Cosa cambia rispetto a prima? Molto. Qualsiasi caso di lesione grave con colpa prevede la revoca della patente per almeno 5 anni. Per lesione grave s’intende l’incapacità di eseguire le ordinarie occupazioni per più di 40 giorni. Può darsi che la legge subisca delle modifiche ma chiunque si metta alla guida deve tenerne conto: la possibilità di restare senza patente per aver causato un ferimento diventa concreta.
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