Finché pagano le sigarette, c’è il pilota – Lo spostamento mediatico in Formula 1
Rieccoci. Vi faccio uno dei miei discorsi strani.
Un discorso che strano in fondo non è ma è un discorso che circola solo fra gli addetti ai lavori. Lavori che non riguardano le automobili.
E nemmeno le sigarette, che in Formula 1 non ci sono più ma aiutano a capire l’argomento.
Roba da marketing e dobloni, non da ruote e pistoni.
La prendo alla larga…
Chi vi piace di più dei soggetti delle due foto seguenti?
Ayrton Senna o la sua Williams?
Scelta ovvia: Senna è un mito e di quell’auto si ha memoria solo per il suo incidente.
E di questi qui sotto?
Vettel o la sua Red Bull?
Diventa più difficile. Red Bull è solo una marca di bibite, però ci si ricorda di quanto quell’auto sia stata importante per il suo, pur bravissimo, pilota.
“Ehhh, non ci sono più i piloti di una volta!”
Fra gli appassionati, chi non l’ha mai detto o pensato in merito a quelli della Formula 1? Riferendosi alle loro capacità, coraggio e personalità?
E che fine hanno fatto i piloti di una volta? Non nascono più? Si sono estinti? Piloti robot senza cuore, adesso?
Non è così.
E’ solo che alcune cose sono cambiate negli ultimi anni, per i piloti.
I grandi piloti sono lì ma non li vediamo più, non come prima.
Fortissimi e con personalità pronte ad esprimersi, sono chiusi nelle loro macchine.
Gli eccessi di protagonismo del pilota, in pista o al di fuori, non sono più bene accetti da chi, giustamente, vuol far risaltare un marchio e non un volto.
Dove sto andando con questo discorso? Provate a pensarci.
Torniamo alle sigarette, che sono un esempio del fenomeno che sto descrivendo: lo spostamento mediatico.
I giganti del tabacco, storici grandi sponsor della Formula 1, non ci sono più. Vietati. Versavano tantissimi soldi.
La loro pubblicità diventava autentica livrea delle macchine sponsorizzate
ma si abbinava alla perfezione con il pilota, vincente e ricco di carisma (anche se non fumava), per la naturale associazione mentale che il consumatore eseguiva.
Si tratta solo di un esempio, il più importante, del cambio di prospettiva mediatica.
Chi sono ora i maggiori sponsor della Formula 1? Non sono esattamente degli sponsor ma sono lì per lo stesso motivo degli sponsor: farsi pubblicità e vendere.
Sono le auto, i loro costruttori.
Un tempo c’erano principalmente le scuderie pure, cioè costruttori esclusivi di auto da corsa il cui nome non aveva quasi ragion d’essere in campo pubblicitario: Williams e McLaren fra i più forti, oltre ai tanti comprimari.
I costruttori di auto stradali c’erano ma erano molti meno di oggi e spesso non erano generalisti da milioni di auto di serie all’anno; fra i più longevi in F1 c’erano solo Ferrari e Lotus.
Le sigarette si sono spente e la scuderia, che oggi è sempre più spesso un grosso fabbricante di vetture stradali,
preferisce ovviamente che lo spettatore (e quindi il potenziale acquirente) sia persuaso dall’idea che sia l’auto a vincere la gara e i titoli mondiali, non il pilota a condurla alla vittoria.
E in effetti il mezzo conta tantissimo nell’automobilismo, molto di più rispetto per esempio al motociclismo.
Anche al di fuori dei circuiti, l’attenzione mediatica è preferibile che sia rivolta al marchio e al fare dei costruttori, non alle scelte e al protagonismo dei piloti.
Michael Schumacher è stato l’ultimo grande nome la cui presenza in squadra era ritenuta determinante per la vittoria e in grado di concentrare l’attenzione dei media su un pilota.
Prima di lui fu così per Alain Prost, Nigel Mansell e ovviamente Ayrton Senna. E, se vogliamo tornare un po’ più indietro nel tempo, gli esempi si sprecano: Lauda, Reutemann, Hunt, Peterson…
Ma anche nomi che non sono mai emersi sul serio, una volta contavano e duravano di più, mediaticamente. Anche se arrivavano in Formula 1 più anziani e si ritiravano spesso in fretta senza vincere molto.
Gilles Villeneuve fu il caso più emblematico: solo 6 vittorie ma, prima che la sua carriera venisse stroncata dal fatale incidente, era già in grado di catalizzare l’attenzione su di sé, con la sua guida arrembante e caratteriale.
Fateci caso: Sebastian Vettel ha vinto 4 titoli mondiali di fila, cioè più di quasi tutti, ma il suo valore come personaggio non è mai del tutto emerso…
Ayrton Senna diceva che ad appassionare il pubblico saranno sempre i piloti, non le scuderie e, almeno ai suoi tempi, aveva senz’altro ragione.
Sentimentalmente sarebbe ancora così ma i tanti soldi che i marchi investono in F1 devono avere un ritorno e i grandi costruttori non possono non tenere conto del fatto che un pilota può oscurare l’automobile, pur eccellente, che guida.
E’ un discorso controverso ma il suo valore, difficile da calcolare, sposta milioni di quattrini nella ragion d’essere della Formula 1.
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