Era strana, un po’ svogliata. Tanti non la ricordano.
Riuscita ma non convinta fino in fondo.
Poteva svettare, con più cavalli e cattiveria, ma non lo fece. E forse fu un calcolo. Uno dei tanti esperimenti, tecnici e di mercato, del gruppo Volkswagen in quel periodo ormai lontano.
La Golf era un mito alla fine degli anni Ottanta qui in Italia, fra i giovani e non solo.
Tutte le versioni piacevano ma non tutte erano un mito; solo la GTI, meglio ancora la GTI 16 valvole. Mito lo si diceva spesso, in quegli anni.
Poi spuntarono queste, le G60.
La prima e la più caratterizzata fu la Rallye.
Elaborazione estetica bella carica ma non davvero entusiasmante. Sembrava riprendere le soluzioni inventate dai tuner in voga all’epoca, bombata e con fari rettangolari che cambiavano ma non miglioravano.
Trazione integrale Syncro e il motore, il riuscito 4 cilindri 1.8 della GTI, acquisiva un compressore volumetrico esclusivo del gruppo (il G Lader) invece del turbo che avevano in tanti. Una sovralimentazione particolare, che puntava sulla prontezza di risposta e sull’uniformità dell’erogazione, che permetteva però 160 cavalli, un po’ pochi per competere con le rivali più arrabbiate.
Poi uscì la GTI G60,
senza le 4 ruote motrici e l’estetica della Rallye.
Costava non poco e non aveva prestazioni decisive, in grado di farla preferire alla sorella minore 16v.
La carriera della G60 si chiuse con un’ultima versione da 210 cavalli, costruita in pochi esemplari e non importata in Italia.
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