Chi era la più amata dagli italiani?
Era questa qui sotto, ovvero Lorella Cuccarini al suo meglio e, concessione al suo sponsor, anche la cucina Scavolini.
Storia che fu. E che ci riporta in quegli anni. Che erano i rampanti, gli Ottanta.
Dopo la donna c’è la macchina, questo lo sanno tutti.
E la prima era lei.
Ad esser precisi, secondo un sondaggio pubblicato sul defunto settimanale Auto Oggi, la più amata di tutti era la Ferrari Testarossa – tanto i sogni non costano – ma subito dopo, non economica ma raggiungibile, c’era la Lancia Thema.
Se volete i dati puri e semplici cercate in giro, ve li dicono in tanti, ma qui parliamo dell’essenza, ché quella c’interessa di quest’auto.
Di quel che fu nel suo ambiente, nel suo mercato, sulla sua strada e fra la sua gente.
Mi piaceva tanto, da bambino, l’ultima Lancia davvero riuscita.
E che cosa definisce un prodotto davvero riuscito, in ambito automobilistico?
Non solo una questione tecnica. Non solo prestazionale. Non solo commerciale. Non solo questo.
Le auto sono mezzi di trasporto, quindi un prodotto al servizio dell’uomo ma sono anche un elemento identificativo dell’individuo, del suo proprietario. Dicono a volte chi è e che cosa fa, che cosa gli serve e che cosa vuole.
E la Lancia Thema metteva su ruote questa identificazione, meglio di qualunque altra in quel momento.
Non piaceva solo a me la Thema, piaceva davvero a tutti; fosse il piccolo industriale o il pensionato benestante, il commendatore o lo yuppie (due qualifiche, quest’ultime, sepolte per sempre).
Sostituiva la Gamma, cioè un modello con un’allure avveniristico, forse troppo, e con soluzioni non apprezzate da tutti.
Sostituita dalla Kappa, un modello che fu, secondo me, l’inizio della fine. E di questo parleremo un’altra volta.
Ma la Thema era perfetta. Non proiettata nel futuro né anziana al debutto.
Perché una Lancia davvero riuscita?
Perché era l’auto giusta al momento giusto; e chi pensa al marchio in questione, riconosce quel tanto di lusso e sportività che in quegli anni, in casa Lancia, era stato ben capitalizzato.
E vendette. Vendette bene, almeno per le ambizioni non eccessive che poteva esprimere. Circa 370k esemplari in 10 anni. Tanto, per gli standard della casa. Il grosso nella sola Italia, come sempre per un marchio che purtroppo non è mai stato globale. Ma era sufficiente così.
Perché la Thema ebbe successo?
Non aveva una meccanica esclusiva. Basata sul progetto cosiddetto Tipo4, condiviso con Fiat Croma, Alfa Romeo 164 (non ancora proprietà Fiat) e Saab 9000.
Qualcuno la chiamò “la Mercedes italiana”. Ma della Mercedes serie W124, sua diretta concorrente, non aveva per esempio la raffinatezza delle sospensioni multilink o lo sterzo sopraffino; né tantomeno la solidità degli interni o la qualità costruttiva, lo denunciavano le cartoline che componevano i rapporti d’affidabilità di Quattroruote.
Ma all’epoca le auto italiane erano, nella percezione del consumatore, un po’ più avanti delle avversarie.
Non migliori, solo un passo più in là nello stile e nella modernità. Modernità generata dalle linee, dal gusto e dalle prestazioni.
La linea verticalizzata ma a cuneo, con la coda alta, tipica di tutti i modelli del gruppo Fiat del periodo successivo e la vetratura a filo, imposta dal dogma dell’aerodinamica, allora imperante.
La bella plancia in plastica pressofusa, con i comandi moderni ed eleganti e il quadro strumenti più bello della sua classe. L’esclusiva selleria in alcantara.
Ci salivi su ed eri contento di quel che vedevi.
E poi c’erano i motori:
Sì, d’accordo, tanti diranno che il “Lampredi” (il Fiat-Lancia quattro cilindri bialbero) aspirato e turbo, installato sulla maggior parte delle versioni vendute, era un gran motore, ma vi invito a vedere la cosa da un punto di vista diverso dal solito. Perché non era una questione di mere qualità tecniche.
Pensiamo a quegli anni. La Thema fu presentata nel 1984.
Da molti anni vigeva in Italia l’IVA al 38% (in luogo dell’ordinaria al 18) per tutte le auto a benzina con cilindrata superiore ai 2 litri (2,5 se a gasolio) con in aggiunta il grosso problema dell’indetraibilità fiscale per quelle che superavano tali limiti.
Cosa significava? Che il gruppo Fiat si era attrezzato di conseguenza, con motori adeguati a queste regole mentre la concorrenza straniera era in gran parte disarmata. E con pochi centimetri cubi se volevi i cavalli dovevi dotarti del turbo. Chi comprava per esempio una Mercedes o una Bmw entro quelle cilindrate, cioè quasi tutti in Italia, doveva accontentarsi di prestazioni modeste dato che quasi nessuna disponeva del turbo, alcune nemmeno sui diesel.
Questo fece la differenza, almeno nel nostro paese.
La Thema 8.32
Dedichiamo un paragrafo alla versione più desiderata di tutte. L’altrimenti detta Thema-Ferrari. Quella che se ce l’avevi non volevi nient’altro.
Come al solito, qui la scheda tecnica è solo un dettaglio. Si parla dello spirito del modello.
Spostava in alto l’appetibilità delle già riuscite versioni standard, aggiungeva un qualcosa di straordinario.
Già la sigla diceva molto: 8 cilindri e 32 valvole.
Il motore “Lancia by Ferrari”, come da scritta sulla testata. Strettamente derivato dal V8 a quattro valvole per cilindro montato sulle Ferrari Mondial e 308. A onor del vero si disse che in Ferrari non gradissero molto il trapianto, ritenuto svilente per il marchio e infatti fornirono solo la versione 2,9 litri, non più montata sulle berlinette di Maranello, passate nel frattempo al 3,2.
Era diverso anche il cambio, con la prima in basso a sinistra, com’era sulle Ferrari e sulle auto da corsa di una volta.
Interni mai visti: plancia in radica e selleria in pelle Poltrona Frau. Calandra cromata, sottili strisce gialle sulla linea di cintura e magnifiche ruote il cui disegno urlava spudoratamente Ferrari. Arrivarono anche le sospensioni regolabili elettronicamente.
E poi il pezzo da manuale dell’entusiasmo: lo spoiler a scomparsa.
Prima di lei, appiccicare un alettone alla coda di una berlina era solo roba da zingari. Ma lei, la 8.32, era un po’ Ferrari e aveva la trovata della funzione retrattile, che era solo sua (poi replicata in casa Porsche sulla 911 serie 964).
La cartella stampa faceva sognare: estrazione automatica. Spuntava dalla sommità del cofano bagagli automaticamente dopo i 120 all’ora o con comando dall’abitacolo. Produceva una deportanza di 60 kg a 200 all’ora, così veniva scritto.
Telaisticamente non era niente di straordinario ma d’altronde era l’epoca che, in campo aeronautico, verrebbe definita del “più in alto e più veloce”. In pochi parlavano di handling, trazione o frenata, cioè qualità oggi osannate ma allora nemmeno riferite. Contavano soprattutto due cose: la velocità massima e l’accelerazione.
215 cavalli, 240 all’ora e 6,8 secondi sullo 0-100.
Oggi sono valori ordinari in quella classe ma al debutto era l’auto a trazione anteriore più veloce al mondo e la concorrenza impiegò qualche anno a sfornare versioni all’altezza, per poi superarla.
Sulla seconda serie le prestazioni erano molto simili a quelle della sorella Turbo 16v, che grazie alla generosa coppia motrice del suo brillante 4 cilindri otteneva risultati analoghi con consumi più bassi.
Sì perché la carriera della 8.32 si concluse un po’ mestamente: non ricevette sviluppi e non fu presentata nella terza e ultima serie della Thema.
E infine, la nuova Thema.
Argomento spinoso e di certo quest’articolo è dedicato alla prima, però per completezza descriviamo anche quella che ne ereditò il nome ma non certo il successo.
Vi dico subito una cosa: a me è piaciuta.
La Thema made in Canada non era secondo me affatto estranea, almeno esteticamente, allo spirito della sua progenitrice. La presenza fisica imponente, classica ma non austera. E, sempre dal punto di vista solo estetico, a me piaceva di più di qualsiasi berlina equivalente della concorrenza. Questione di gusti.
Era molto grande, forse troppo, con misure da segmento F.
Si trattava, né più né meno, di una Chrysler 300 rimarchiata Lancia, ovvero un modello progettato per il mercato statunitense e non modernissimo all’epoca del lancio (derivata dalla precedente 300c, a sua volta imparentata con modelli Mercedes ormai datati), con la sola aggiunta del motore diesel di fabbricazione italiana.
Aveva un buon rapporto qualità/prezzo. Nelle prove delle riviste specializzate non risultò pienamente all’altezza delle rivali sotto il profilo delle qualità stradali e delle finiture ma le veniva riconosciuto grande confort, abitabilità e prestazioni.
Il maggior handicap era rappresentato dalla gamma motori limitata, perché di vendibile c’era solo il diesel, ovvero un motore validissimo ma troppo impegnativo (cilindrata 3000) in anni di downsizing e abbinato a un cambio a 5 rapporti che non permetteva di ottimizzare i consumi. L’8 marce era riservato solo alla versione a benzina.
Si prevedevano numeri non elevati, 10000 esemplari all’anno, ma le vendite si attestarono su livelli molto più bassi, che decretarono l’uscita dai listini dopo solo tre anni di commercializzazione.
E’ finita svenduta.
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