“Come facciamo a guadagnare di più?”
E’ la domanda che, coscientemente o meno, un imprenditore sempre si pone. O dovrebbe porsi.
Decliniamola al plurale, ché qui son grandi imprese, son tanti azionisti e ci sono i bonus per i dirigenti.
Nel campo degli elettrodomestici si parla spesso di obsolescenza programmata, un concetto vago riassumibile nello spingere i consumatori a cambiare un certo apparecchio anche se ancora valido e funzionante.
Nella sua versione più meschina si traduce nel fatto di accorciare la vita utile dell’oggetto, progettandolo per rompersi il prima possibile ma dopo la scadenza della garanzia e in modo tale da non favorirne la riparazione.
Nella versione qui affrontata il concetto di obsolescenza programmata assume una spiegazione molto più soft e certamente lecita, anche moralmente.
E che ben asseconda un desiderio inconscio degli automobilisti, qui descritto:
https://autosenzafreni.net/quanto-durano-le-automobili/
C’è stato un momento di magica sincronia di pensiero alcuni anni fa tra gli amministratori delegati di certe case automobilistiche.
Pensa che ti ripensa, un bel giorno ci si disse, fra grandi capi:
-“I nostri clienti hanno i soldi per cambiare l’auto ma non hanno un motivo per farlo. Quella che possiedono funziona ancora bene e il modello che noi vendiamo è sempre lo stesso”
-“quindi che si fa?”
-“facciamo venir voglia di comprarne un’altra”
-“e come?”
-“semplice, accorciamo la presenza sul mercato dei nostri modelli da 10 a 6 anni!“
Questa è stata la grande pensata.
Fino a non molti anni fa un modello restava sul mercato per almeno 10 anni, spesso anche 12, mentre oggi casi del genere sono eccezioni. E subiva solo un restyling di mezza vita, abbastanza consistente ma non decisivo.
Dopo si è stabilito, soprattutto fra i costruttori con clientela più facoltosa, di accorciare per quanto possibile la vita commerciale dei vari modelli.
Con questa strategia aumentano anche i costi di progettazione ma non in maniera così netta come si potrebbe supporre, perché quel che conta per il cliente è innanzitutto la percezione di acquistare un nuovo modello di auto.
Recentemente una nota rivista automobilistica ha ammesso che dopo una prova su strada di una ennesima serie di un diffuso modello, ha fatto provare la nuova nata a possessori della vecchia versione modello per avere opinioni sull’effettivo miglioramento percepito.
Tale percezione dipende soprattutto:
- dall’aspetto estetico (linea e interni diversi),
- da quello sensoriale (dinamica di guida variata ma non necessariamente migliore)
- e da quello “tech” (strumentazioni e accessori all’ultimo grido)
molto di meno dall’effettivo passo avanti nell’evoluzione tecnica. Che c’è sempre ma non è importante come la si descrive.
La Mercdes Classe E (così chiamata dal 1993) in alcune delle sue, sempre più frequenti, edizioni.
Ha funzionato? Non del tutto.
Perché non tutte le case automobilistiche hanno applicato questa regola non detta allo stesso modo e perché, in fondo, gli acquirenti non si sono rivelati ricchi come si pensava.
A livelli medio-alti, nelle fasce di mercato e per i marchi più remunerativi, il gioco funziona.
Nei segmenti più popolari i costi di progettazione e sviluppo, nel rincorrersi della concorrenza, sono sempre elevati e il ricambio generazionale dei modelli richiede un numero di esemplari venduti molto alto per essere profittevole.
E’ andata bene ai costruttori cosiddetti premium, che possono farsi pagare bene le novità; altri si leccano le ferite della concorrenza al ribasso sui prezzi.
Il mercato cambia, a volte più in fretta delle idee…
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