Il soggetto dell’articolo non sono le auto ma mi si rimprovera di corroborare la tesi dei sostenitori dei mezzi a petrolio contrapposti a quelli elettrici. Io non appoggio nessuna versione, perché non ci sono versioni della cosa.
Dunque dunque, facciamo il punto della situazione.
Ci sono due grandi direttrici che spostano quel che sarà del futuro dell’alimentazione dei veicoli. La convenienza e gli obblighi.
La convenienza è soggettiva ma dice una cosa semplice: se ti conviene il prezzo d’acquisto e d’uso e non ci sono impedimenti particolari, farai quella scelta.
L’obbligo è una scelta politica. In altre parole, un governo o un accordo fra più stati può agire sugli acquirenti o sui costruttori in relazione alle scelte che si possono fare.
Parliamo degli obblighi.
In Commissione europea è stato presentato il piano per la riduzione delle emissioni entro il 2030. Prevede una riduzione del 30% della CO2 emessa dalle automobili ma senza obblighi sulle quote di vetture elettriche. Non è una versione definitiva e si parla di una correzione ma questo è il futuro, almeno in Europa, salvo modifiche.
Ricordiamo che cos’è la CO2, ovvero l’anidride carbonica: non è un inquinante ma è il gas ritenuto responsabile del riscaldamento globale ed è proporzionale al consumo di carburante. Non può essere ridotta tramite nessuna tecnologia dedicata, l’unico modo è quello di abbassare i consumi.
In sostanza le auto dovranno sì consumare meno, molto meno di oggi, ma il modo in cui lo faranno spetta ai loro costruttori deciderlo. Può anche darsi che le case costruttrici meno risparmiose decidano di pagare salate multe e continuare così, dipenderà dall’entità delle sanzioni.
Quel che è certo è che non è una cosa facile ridurre il consumo di benzina e gasolio in una percentuale così elevata e che sarà peggio dopo l’imminente revisione dei metodi di calcolo dei consumi dichiarati dai fabbricanti, che dovranno essere più rispondenti alla realtà. Un’ulteriore complicazione sarà dettata dalla riduzione delle versioni diesel presenti nei listini, perché i nuovi requisiti sugli inquinanti richiederanno tecnologie più costose. Secondo il gruppo PSA i nuovi motori diesel costeranno fino a 2000 euro in più per ogni veicolo, cosa che li smonterà di fatto dai cofani dei modelli più popolari. E i diesel inquinano ma, consumando poco, emettono meno CO2.
Quindi bisognerà consumare meno diversamente.
L’elettrico e l’ibrido (ricaricabile) sono i modi migliori per farlo. Anche se e quando non convengono al consumatore.
I consumi di CO2 dell’intero ciclo di vita di un’auto elettrica paragonata a una di livello simile a benzina e a una più piccola.
E’ abbastanza ovvio che gli strabilianti risultati che si possono dichiarare nel consumo di gamma introducendo (e vendendo) modelli con la spina da attaccare, obbligherà molti in tale direzione.
Se vi state chiedendo perché uno stato come l’Italia non promuova l’auto elettrica, chiedetevi cosa succederebbe se troppi automobilisti decidessero effettivamente di comprarla. Una percentuale a doppia cifra delle entrate statali italiane proviene dalle tasse sui carburanti.
Se tale gettito fiscale dovesse venire riversato sull’elettrico la (non) convenienza del cambio di alimentazione raggiungerebbe livelli imbarazzanti. Bisogna tenerne conto.
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Chi era la più amata dagli italiani? Era questa qui sotto, ovvero Lorella Cuccarini al suo meglio e, concessione al suo sponsor, anche la cucina Scavolini.
Quegli anni lì…
Storia che fu. E che ci riporta in quegli anni. Che erano i rampanti, gli Ottanta.
Dopo la donna c’è la macchina, questo lo sanno tutti. E la prima era lei.
La Thema “i.e. turbo” del 1984
Ad esser precisi, secondo un sondaggio pubblicato sul defunto settimanale Auto Oggi, la più amata di tutti era la Ferrari Testarossa – tanto i sogni non costano – ma subito dopo, non economica ma raggiungibile, c’era la Lancia Thema.
Se volete i dati puri e semplici cercate in giro, ve li dicono in tanti, ma qui parliamo dell’essenza, ché quella c’interessa di quest’auto. Di quel che fu nel suo ambiente, nel suo mercato, sulla sua strada e fra la sua gente.
Mi piaceva tanto, da bambino, l’ultima Lancia davvero riuscita. E che cosa definisce un prodotto davvero riuscito, in ambito automobilistico? Non solo una questione tecnica. Non solo prestazionale. Non solo commerciale. Non solo questo. Le auto sono mezzi di trasporto, quindi un prodotto al servizio dell’uomo ma sono anche un elemento identificativo dell’individuo, del suo proprietario. Dicono a volte chi è e che cosa fa, che cosa gli serve e che cosa vuole. E la Lancia Thema metteva su ruote questa identificazione, meglio di qualunque altra in quel momento.
Non piaceva solo a me la Thema, piaceva davvero a tutti; fosse il piccolo industriale o il pensionato benestante, il commendatore o lo yuppie (due qualifiche, quest’ultime, sepolte per sempre).
Yuppies
Sostituiva la Gamma, cioè un modello con un’allure avveniristico, forse troppo, e con soluzioni non apprezzate da tutti. Sostituita dalla Kappa, un modello che fu, secondo me, l’inizio della fine. E di questo parleremo un’altra volta. Ma la Thema era perfetta. Non proiettata nel futuro né anziana al debutto.
Perché una Lancia davvero riuscita? Perché era l’auto giusta al momento giusto; e chi pensa al marchio in questione, riconosce quel tanto di lusso e sportività che in quegli anni, in casa Lancia, era stato ben capitalizzato. E vendette. Vendette bene, almeno per le ambizioni non eccessive che poteva esprimere. Circa 370k esemplari in 10 anni. Tanto, per gli standard della casa. Il grosso nella sola Italia, come sempre per un marchio che purtroppo non è mai stato globale. Ma era sufficiente così.
Perché la Thema ebbe successo? Non aveva una meccanica esclusiva. Basata sul progetto cosiddetto Tipo4, condiviso con Fiat Croma, Alfa Romeo 164 (non ancora proprietà Fiat) e Saab 9000. Qualcuno la chiamò “la Mercedes italiana”. Ma della Mercedes serie W124, sua diretta concorrente, non aveva per esempio la raffinatezza delle sospensioni multilink o lo sterzo sopraffino; né tantomeno la solidità degli interni o la qualità costruttiva, lo denunciavano le cartoline che componevano i rapporti d’affidabilità di Quattroruote.
Ma all’epoca le auto italiane erano, nella percezione del consumatore, un po’ più avanti delle avversarie. Non migliori, solo un passo più in là nello stile e nella modernità. Modernità generata dalle linee, dal gusto e dalle prestazioni. La linea verticalizzata ma a cuneo, con la coda alta, tipica di tutti i modelli del gruppo Fiat del periodo successivo e la vetratura a filo, imposta dal dogma dell’aerodinamica, allora imperante. La bella plancia in plastica pressofusa, con i comandi moderni ed eleganti e il quadro strumenti più bello della sua classe. L’esclusiva selleria in alcantara. Ci salivi su ed eri contento di quel che vedevi.
E poi c’erano i motori:
Sì, d’accordo, tanti diranno che il “Lampredi” (il Fiat-Lancia quattro cilindri bialbero) aspirato e turbo, installato sulla maggior parte delle versioni vendute, era un gran motore, ma vi invito a vedere la cosa da un punto di vista diverso dal solito. Perché non era una questione di mere qualità tecniche. Pensiamo a quegli anni. La Thema fu presentata nel 1984. Da molti anni vigeva in Italia l’IVA al 38% (in luogo dell’ordinaria al 18) per tutte le auto a benzina con cilindrata superiore ai 2 litri (2,5 se a gasolio) con in aggiunta il grosso problema dell’indetraibilità fiscale per quelle che superavano tali limiti. Cosa significava? Che il gruppo Fiat si era attrezzato di conseguenza, con motori adeguati a queste regole mentre la concorrenza straniera era in gran parte disarmata. E con pochi centimetri cubi se volevi i cavalli dovevi dotarti del turbo. Chi comprava per esempio una Mercedes o una Bmw entro quelle cilindrate, cioè quasi tutti in Italia, doveva accontentarsi di prestazioni modeste dato che quasi nessuna disponeva del turbo, alcune nemmeno sui diesel.
Questo fece la differenza, almeno nel nostro paese.
La Thema 8.32
Dedichiamo un paragrafo alla versione più desiderata di tutte. L’altrimenti detta Thema-Ferrari. Quella che se ce l’avevi non volevi nient’altro.
Come al solito, qui la scheda tecnica è solo un dettaglio. Si parla dello spirito del modello. Spostava in alto l’appetibilità delle già riuscite versioni standard, aggiungeva un qualcosa di straordinario. Già la sigla diceva molto: 8 cilindri e 32 valvole. Il motore “Lancia by Ferrari”, come da scritta sulla testata. Strettamente derivato dal V8 a quattro valvole per cilindro montato sulle Ferrari Mondial e 308. A onor del vero si disse che in Ferrari non gradissero molto il trapianto, ritenuto svilente per il marchio e infatti fornirono solo la versione 2,9 litri, non più montata sulle berlinette di Maranello, passate nel frattempo al 3,2.
Era diverso anche il cambio, con la prima in basso a sinistra, com’era sulle Ferrari e sulle auto da corsa di una volta. Interni mai visti: plancia in radica e selleria in pelle Poltrona Frau. Calandra cromata, sottili strisce gialle sulla linea di cintura e magnifiche ruote il cui disegno urlava spudoratamente Ferrari. Arrivarono anche le sospensioni regolabili elettronicamente.
E poi il pezzo da manuale dell’entusiasmo: lo spoiler a scomparsa. Prima di lei, appiccicare un alettone alla coda di una berlina era solo roba da zingari. Ma lei, la 8.32, era un po’ Ferrari e aveva la trovata della funzione retrattile, che era solo sua (poi replicata in casa Porsche sulla 911 serie 964). La cartella stampa faceva sognare: estrazione automatica. Spuntava dalla sommità del cofano bagagli automaticamente dopo i 120 all’ora o con comando dall’abitacolo. Produceva una deportanza di 60 kg a 200 all’ora, così veniva scritto.
Telaisticamente non era niente di straordinario ma d’altronde era l’epoca che, in campo aeronautico, verrebbe definita del “più in alto e più veloce”. In pochi parlavano di handling, trazione o frenata, cioè qualità oggi osannate ma allora nemmeno riferite. Contavano soprattutto due cose: la velocità massima e l’accelerazione.
Alboreto, Berger e la Thema-Ferrari
215 cavalli, 240 all’ora e 6,8 secondi sullo 0-100. Oggi sono valori ordinari in quella classe ma al debutto era l’auto a trazione anteriore più veloce al mondo e la concorrenza impiegò qualche anno a sfornare versioni all’altezza, per poi superarla. Sulla seconda serie le prestazioni erano molto simili a quelle della sorella Turbo 16v, che grazie alla generosa coppia motrice del suo brillante 4 cilindri otteneva risultati analoghi con consumi più bassi. Sì perché la carriera della 8.32 si concluse un po’ mestamente: non ricevette sviluppi e non fu presentata nella terza e ultima serie della Thema.
E infine, la nuova Thema. Argomento spinoso e di certo quest’articolo è dedicato alla prima, però per completezza descriviamo anche quella che ne ereditò il nome ma non certo il successo.
Quella del 2011
Vi dico subito una cosa: a me è piaciuta. La Thema made in Canada non era secondo me affatto estranea, almeno esteticamente, allo spirito della sua progenitrice. La presenza fisica imponente, classica ma non austera. E, sempre dal punto di vista solo estetico, a me piaceva di più di qualsiasi berlina equivalente della concorrenza. Questione di gusti.
Era molto grande, forse troppo, con misure da segmento F. Si trattava, né più né meno, di una Chrysler 300 rimarchiata Lancia, ovvero un modello progettato per il mercato statunitense e non modernissimo all’epoca del lancio (derivata dalla precedente 300c, a sua volta imparentata con modelli Mercedes ormai datati), con la sola aggiunta del motore diesel di fabbricazione italiana.
Aveva un buon rapporto qualità/prezzo. Nelle prove delle riviste specializzate non risultò pienamente all’altezza delle rivali sotto il profilo delle qualità stradali e delle finiture ma le veniva riconosciuto grande confort, abitabilità e prestazioni. Il maggior handicap era rappresentato dalla gamma motori limitata, perché di vendibile c’era solo il diesel, ovvero un motore validissimo ma troppo impegnativo (cilindrata 3000) in anni di downsizing e abbinato a un cambio a 5 rapporti che non permetteva di ottimizzare i consumi. L’8 marce era riservato solo alla versione a benzina. Si prevedevano numeri non elevati, 10000 esemplari all’anno, ma le vendite si attestarono su livelli molto più bassi, che decretarono l’uscita dai listini dopo solo tre anni di commercializzazione.
E’ finita svenduta.
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Una ventina d’anni fa i costruttori automobilistici tedeschi, con l’eccezione di Porsche, stipularono un gentlemen’s agreement perché le loro nuove vetture non superassero la velocità massima di 250 Km/h. Aveva un senso in termini di stile; come se dicessero “possiamo ma la corsa alla velocità non ci riguarda”. Secondo i detrattori era anche una scelta di cartello, per non investire in ricerca e soluzioni aerodinamiche. Anche perché non si trattava spesso di autentiche auto sportive ma solo potenti, come Mercedes S e Bmw 7.
Inoltre all’epoca non si era ancora affermata l’attuale impronta “muscolare” verso la quale tendono un po’ tutti i costruttori premium. Il desiderio comune era più improntato verso un’eleganza compassata, non necessariamente sportiva. Non solo in campo automobilistico.
Di fatto questi costruttori già limitavano da tempo la velocità delle loro versioni di gamma più potenti e all'epoca, quando modelli estremi come gli attuali non c'erano e le potenze in gioco erano più basse, pareva a tutti una buona idea. Comunemente si parlava di velocità limitata elettronicamente, nel senso che interveniva un blocco che impediva all'auto di accelerare oltre.
Oggi questo accordo è caduto largamente in disuso ma mi ha fatto tornare alla mente un caso particolare ad esso riconducibile: la prima Bmw M3 serie E36.
Quest'auto, della potenza di 286 cavalli e probabilmente la migliore della sua categoria, si dimostrava nelle prove su strada eccezionalmente reattiva, tanto da battere in ripresa modelli molto più potenti. Per esempio, nel test della rivista Auto aveva realizzato la ripresa da 80 a 160 orari in circa 15 secondi contro i 17 della Ferrari F355, un'auto da 380 cavalli. Il motivo di tanta brillantezza era anche nel predetto limite di 250 orari. Esso non veniva principalmente rispettato tramite un blocco elettronico, ma semplicemente accorciando i rapporti della trasmissione; tanto che a 250 all'ora in quinta (rapporto più lungo) il motore era vicinissimo al massimo dei giri.
Accordo rispettato, con beneficio sulle prestazioni. Velocità massima a parte, of course.
Per attirare gli uomini, io indosso un profumo che si chiama “Interno di macchina nuova”. (Rita Rudner)
Non so chi sia Rita Rudner e ho una macchina che mi piace un sacco – una Bmw Z4 – ma che uso poco. Forse per questo, dopo anni, il muflone è sempre lì. Irremovibile, respirante e traspirante. “Cos’è quest’odore di muflone?” Questo mi chiesi quando per la prima volta salii a bordo della mia auto.
Eccolo qui, il muflone:
Va bene, io non so che odore faccia un muflone e sicuramente non è di muflone l’odore che, sospetto, provenga dall’allestimento optional Design pure white di cui è dotata la mia Z4: interno in legno e pelle Nappa estesa: un tipo di pelle non ricoperta, molto odorosa… Appunto.
Se usassi di più l’auto forse lui, il muflone, avrebbe alzato gli zoccoli e se ne sarebbe già andato. O più probabilmente il mio naso si sarebbe abituato. Almeno credo.
Certo che in tempi sempre più vegetariani potrebbero inventare una pelle meno finta della mitologica “fintapelle o sky” di fantozziana memoria, così da salvare bovini e ovini.
Non ho ancora capito se la preferirei inodore la mia macchina o se tutto sommato quel profumo, se così vogliamo chiamarlo, la renda caratteristica e mi ricordi di quand’ero bambino.
L’olfatto è il senso con la maggior memoria e quindi, per me che sono un nostalgico, non si può non tornare a quella brezza un po’ così, dritta dritta dagli anni ’80 e indietro. Quando gli abitacoli delle auto non emanavano un odore: puzzavano e basta. Mica colpa loro. Niente si poteva contro i materiali dell’epoca.
Plastiche, metalli, pellami, tessuti e sostanze varie come il leggendario acido caproico – così chiamato perché rinvenuto nel sudore delle capre! – che appestava per esempio gli abitacoli delle Lancia Thema. Il tutto in un miscuglio che non si può non ricordare con affetto :-) Quel genere di affetto che spunta solo dai ricordi distorti, ovviamente. Io soffrivo di mal d’auto e, ne sono certo, era un malessere dovuto più che altro alla puzza nauseabonda di cui parliamo.
Poi arrivarono gli anni ’90 e con la mia prima auto, una Fiat Punto, spalancai le narici al buon profumo alcolico con cui vennero annaffiati gli abitacoli del futuro presente.
Per chi volesse riprovare certe inebrianti sensazioni, resta solo da sperimentare qualche spray che pretende di ripristinare l’atmosfera del nuovo di zecca. A giudicare dai commenti ci si può sbagliare sull’epoca, quantomeno: https://www.amazon.it/Profumo-auto-nuova-Spray-deodorante/dp/B00B69ZPJA
Comunque, in definitiva, viva gli odori in auto (se non ti fanno star male).
E viva i mufloni.
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Qualche anno fa ero un buon venditore su eBay. Non mi occupavo del settore automotive ma, da sempre appassionato, un’occhiata in giro sul sito ogni tanto la davo: che fossero auto d’epoca, modellini, ricambi o…
UN MAGICO OGGETTO CHE VI FARA’ GUADAGNARE IL 20% IN PRESTAZIONI, RISPARMIARE IL 15% DI CARBURANTE E… INQUINARE DI MENO!!!
Venghino e comprino, siòre e siòri!
Questo slogan l’ho inventato io adesso ma, se non siete giovanissimi, un annuncio del genere, che sia su internet o su una rivista automobilistica, prima o poi l’avete letto. Cambia la forma del prodigioso dispositivo o il principio scientifico vantato (magnetizzazione del flusso, ionizzazione del carburante, ottimizzazione elettronica del motore…)
ma il claim è sempre lo stesso: basta comprare l’aggeggio in questione – misteriosamente sconosciuto alle Case automobilistiche – e la vostra auto troverà cavalli in più nel motore e litri in più nel serbatoio.
Su qualsiasi auto, si badi bene, e con qualsiasi motore, dice l’annuncio. Il magic-tuttofare di turno non ha preferenze, benzina o diesel, camion o motociclette per lui sono uguali. Il miracolo lo fa sempre. Il resto si sa già. La maggior parte delle persone ci ride su e passa oltre ma tanti altri si faranno tentare, spenderanno i loro soldi e ci resteranno tutti male. O forse no. No che cosa? Che l’oggetto superinutile funzioni davvero? Certo che no. Ma non è detto che tutti ci restino male.
La suggestione inizia ad agire e colpisce nel profondo… Torniamo a eBay:
La credibilità di un venditore su quel sito si basa in gran parte sul punteggio di feedback, cioè sul giudizio che gli acquirenti lasciano in merito all’esperienza ricevuta e, da venditore esperto, sapevo che qualche feedback fasullo, soprattutto all’inizio dell’attività, ce lo si poteva procurare ma sapevo anche che, almeno nel caso del venditore che stavo analizzando, i feedback erano drammaticamente veri e tutti relativi all’oggetto completamente inutile che vendeva.
La maggior parte, forse il 90% del totale, erano positivi. Qualcuno era vago, del tipo: “mi è arrivato in fretta e devo ancora installarlo…”, altri si limitavano a dire che sembra funzionare ma tanti confermavano che sulla loro auto era stato miracoloso: facevano tanti chilometri in più con un pieno e la macchina volava!
Il più obiettivo che ricordo scriveva “Non serve a nulla ma è carino da vedere nel cofano”. Inevitabilmente c’erano anche diversi feedback neutri o negativi, che confermavano l’inutilità dell’accessorio, ma non erano poi molti.
Cosa se ne può dedurre? A volte nelle persone, me compreso, c’è una sorta di pudore nell’ammettere, persino con se stessi, di essere stati ingenui; di aver preso una decisione sbagliata anche se non grave, soprattutto se questa decisione riguarda una spesa. Ancor più umiliante può risultare, per un uomo, dover ammettere di essersi fatto abbindolare su una scelta riguardante la propria auto, ovvero i motori, terreno in cui ogni uomo si sente il più competente sulla Terra. La mente si adatta a questa necessità e un’esperienza neutra o negativa diventa, nel nostro giudizio, positiva. C’è l’effetto placebo nei farmaci, perché non beneficiarne anche sulle auto?
Ma tu che ne sai? Magari quel coso funzionava davvero, almeno in parte, e gli acquirenti che hanno lasciato quel giudizio avevano ragione.
No, non avevano ragione. Ma ve ne parlerò in un altro articolo.
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“Fidatevi di lui, s’intende di auto”, dissero in tanti…
Piace a me, quindi la comprerete…
…questa qui.
“Quest’auto è fantastica, venderà di sicuro!” (Paolo Cantarella, amministratore delegato Fiat negli anni Novanta)
Non so se pronunciò davvero quella frase ma si diceva che in Fiat piacesse solo a lui, la Multipla…
D’accordo, con quest’esempio è facile ma tra poco ne offrirò di migliori.
Oggi di cosa vi parlo? Di una delle tante mine vaganti nell’industria; industria automobilistica in questo caso, ma che vale un po’ per tutti i business in cui ciò che si produce appassiona chi comanda.
Non è un discorso sempre valido ma vi invito a seguirmi nella spiegazione.
L’altro giorno leggevo un’intervista a un imprenditore emergente nel campo dell’arredamento che, spiazzando il giornalista, affermava che “un buon dirigente non deve conoscere molto bene il prodotto che vende”.
Suona strano, vero?
In realtà si tratta di una vecchia, controversa, regola del management. Non molti di voi, manager compresi, saranno d’accordo con questa regola e per due motivi.
Il primo motivo è che si tratta di una regola controintuitiva: la logica più lineare direbbe che più si sa di ciò che si fa e meglio è.
L’altro motivo è più retorico. Siamo talmente abituati a sentire persone di successo dire che il loro segreto sta nell’amore per il prodotto che trattano (la cucina, l’elettronica, il cinema, la moda…) che non possiamo non credere che sia così.
Devi amare ciò che produci, giusto?
Spesso è vero ma il cuore può tradire il cervello o, per dirlo in altri termini, l’uomo tradisce il manager.
Cantarella, quello della Multipla, era laureato in ingegneria meccanica. Interveniva anche nella definizione di particolari dei modelli d’auto che deliberava. Da vero appassionato. Però lui non è più a capo della Fiat. Al suo posto c’è uno che non fa mistero di basare la sua strategia non sulla conoscenza dell’automobile ma sull’ottimizzazione del processo produttivo e delle strategie. Uno che è più facile si chieda quanti soldi farà perdere una certa auto invece di quanti ne farà guadagnare.
Piano con le proposte
Marchionne ha studiato legge, amministrazione e filosofia e il suo ultimo incarico prima di giungere in Fiat, è stato al vertice di una società di revisione contabile. Appassionarsi alle automobili è facile ma chi è che si fa piacere i libri contabili, le certificazioni e l’auditing? Nessuno. Appunto.
Numeri e conti, che noia.
Non ce l’ha un cuore, Marchionne? Oppure gli fan proprio schifo le auto? Non direi. Secondo me quando ha deciso di chiamare 124 Spider un nuovo modello, un pensiero ce l’ha fatto, orgoglioso, ripensando alla sua prima 124 di quand’era giovane.
Cosa se ne deduce? Meglio i calcoli della passione?
Adesso l’esempio si fa più ambiguo:
Eccolo qui, herr Piech
Ferdinand Piech, il vero artefice della crescita del gruppo Volkswagen. Una crescita generata non dallo studio dei conti ma dai bulloni del motore. Talmente evitati quei conti che il gruppo cresceva con utili di appena l’1-2% sul fatturato a fine anni Ottanta, quando si permetteva di sperimentare ogni soluzione tecnica e di far produrre, per esempio, due motori con la stessa cilindrata ma in 2 architetture diverse. Cresciuto lavorativamente all’Audi, Piech l’ha portata ai vertici per tecnica e qualità, dicendo con forza che l’eccellenza ingegneristica trasformata in immagine di marca (lamiere zincate, trazione integrale Quattro, successi sportivi…) avrebbe elevato di gran lunga collocamento di mercato e possibilità di guadagni. Ebbe ragione. Ma anche lui… con i suoi gusti. Non gli piacevano le cabriolet e le monovolume e così, in un periodo in cui questi modelli erano più apprezzati di oggi, il gruppo Volkswagen ne produceva pochi e di poco successo. Gli piacevano invece le Lamborghini e, appena possibile, aggiunse anche quel marchio alla corona del gruppo automobilistico che guidava. Infine, dopo aver collocato il marchio Audi nell’empireo dei costruttori, decise di trascinarvi anche la più popolare Volkswagen, producendo un modello d’alta gamma, la Phaeton, che proprio nessuno voleva. Buttando via un bel po’ di soldi. Succede…
La passione è nemica della gestione, quindi? A volte sì, quando confonde e illude.
Un dirigente, uno qualsiasi, che ci è rimasto male !
Comunque, secondo me la Fiat Multipla era bellissima!
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